Teatro

LONDRA, LES TROYENS

LONDRA, LES TROYENS

London, Royal Opera House Covent Garden, “Les Troyens” di Hector Berlioz 

IL CAVALLO NATO DAI DETRITI DI GUERRA

A Londra le produzioni più attese arrivano a fine stagione, come l’edizione integrale dei “Troyens” di Berlioz, opera monumentale che per la sua componente  epica (ed etica ) ben si addice  alle celebrazioni in vista delle Olimpiadi. A causa della lunghezza (l’opera di cinque ore è  formata da due parti distinte e stilisticamente diverse: la prima relativa alla caduta di Troia e la seconda che narra degli amori di Enea e Didone) e della difficoltà  di reperire un cast adeguato, “Les Troyens” sono rappresentati di rado, ma proprio a Londra è associato il ricordo di due esecuzioni memorabili  affidate alla bacchetta di Colin Davis nel 1969  e 2000.

Il nuovo allestimento in edizione integrale comprensiva di tutti i balletti, è stato affidato al talento di David Mc Vicar, regista scozzese che proprio per  il Covent Garden ha creato spettacoli indimenticabili (Salome, Faust, Nozze di Figaro, solo per citarne alcuni), ma che da quando si è  affermato nell’establishment ha firmato produzioni meno dirompenti.
Mc Vicar, con il fondamentale apporto della scenografa Es Devlin, sottolinea la cesura fra le due parti creando mondi e stili  diversi. Nella prima parte, decisamente più  riuscita,Troia viene rappresentata con una struttura convessa di ferro grigio a più  piani con gallerie praticabili che si divide in due per fare entrare il cavallo: una gigantesca testa equina di metallo composta da un’accozzaglia di armi, scudi, ferri bruniti, tutti detriti di una guerra estenuante. Come un autentico cavallo di Troia, uomini al suo interno la manovrano facendola oscillare e, essendo una macchina da guerra, sputa fuoco dalle narici nel momento della catastrofe.
Il mondo dei troiani è grigio e polveroso, ha il colore del ferro vecchio e del lungo conflitto, i troiani sono in uniformi consunte che rimandano alla guerra franco -prussiana,  Priamo ed Ecuba vestiti da monarchi si trascinano stanchi con le loro corone opache, si respira un’atmosfera di disfatta. Cassandra è vestita di nero e ha un occhio tatuato sul palmo della mano, nello spirito di Ettore insanguinato ritroviamo un po’ il Mc Vicar pulp.
Tutt’altra atmosfera per i Troiani a Cartagine: la scena ruota facendosi concava e rappresenta una città color ocra con le gallerie scavate nell’argilla, una sorta di arena dove si dispone il coro variopinto e festoso. Didone  siede su di un modello ligneo di una città ideale adagiato sul pavimento, plastico che issato in verticale e illuminato da luci violette, diventa la luna che favorisce gli amanti  per poi finire spezzato in due come un cuore (simbolismo piuttosto facile) e un’altra scultura metallica a forma di testa umana prenderà fuoco a preannunciare vendetta e nuove sciagure. Annibale?
L’opera è lunga ed impegnativa, oltre all’apparizione del cavallo ci sono altre immagini d’impatto come il messaggero alato che sbatte le ali che si proiettano livide nella notte  o l’intrico di funi che cala dall’alto allusivo alla partenza dei troiani, ma anche elementi deboli e i  balletti (coreografie di Andrew George), una via di mezzo fra danza moderna e tribale in costumi piuttosto kitsch, sono inspiegabilmente brutti.

Anche dalla direzione di Antonio Pappano ci saremmo aspettati di più. Niente da dire, un’orchestrale dai suoni bellissimi, ricchi di colore e sfumature, preciso e puntuale per illustrare con chiarezza l’ampiezza monumentale della partitura, ma non sufficientemente pregnante dal punto di vista drammatico: troppo levigata, scintillante, composta. Avremmo voluto maggiori contrasti, barbarica durezza, vibrante sensualità. 
Se la prima parte risulta avvincente è anche merito di Anna Caterina Antonacci, una Cassandra molto intensa, tragica  per  il magnetismo innato e per  lo scavo fatto sul personaggio di cui restituisce ogni sussulto. C’è molta Medea in questa Cassandra, sacerdotessa un po’ strega e donna appassionata, che invasata si rotola a terra o immobile sfrutta la potenza espressiva delle mani ed il saettare dello sguardo.
Non da meno il canto, tutto giocato sul fraseggio e sulla variazione dinamica, in un francese perfetto di cui coglie ogni nuance, scolpito con l’arte dell’autentica tragédienne.
Caratteristiche che mancano  alla Didone di Eva Maria Westbroek (peraltro da noi apprezzata in ruoli wagneriani e straussiani),malgrado la voce possente e ben più estesa. Una Didone fin troppo gioconda, a cui manca idiomaticità e varietà di accenti per una corretta differenziazione dei diversi stadi psicologici,  poco tragica e poco amante. Uno dei motivi d’interesse della produzione era l’atteso debutto di Jonas Kaufmann nel ruolo di Enea, debutto che per ragioni di salute il cantante tedesco ha preferito rimandare. Bryan Hymel, tenore americano emergente, oltre ai fantasmi di Ettore ha dovuto superare quelli del bavarese, della sua immagine in smoking in un ring nelle pubblicazioni del Covent Garden per le Olimpiadi e soprattutto dei suoi fans. Ma se l’è cavata con onore, la voce è ferma e sicura, dal registro acuto sicuro e squillante, fondamentale per la parte di Enea. Molto curati  tutti gli altri  (numerosi) ruoli, ci fa piacere constatare la maturità vocale ed interpretativa conseguita da Fabio Capitanucci, un Corebo di lusso che non sfigura accanto a Cassandra. Il veterano Robert Lloyd è un Priamo autorevole, Sophia Mcgregor è una dolente Andromaca, Pamela Helen Stephen una Ecuba triste. Disinvolto l’Ascanio di Barbara Senator, nonostante la brevità della parte ci scuote la voce del fantasma di Ettore affidata a Jihoon Kim. Bene anche Sebastian Wright (Astianatte) e Polissena (Jenna Sloan). Voce leggera, ma ben timbrata, per il poeta Iopas di Ji-Min Park, bella voce tenorile anche per Ed Lyon nel ruolo di Hylas. Puntuale ed intenso il Narbal di Brindley Sherratt, Hanna Hipp è una sorella Anna partecipe.

Grande successo di pubblico in una città in fermento proiettata verso le Olimpiadi. Rimanendo in ambito sportivo, per una casualità singolare,  l’invocazione “Italie, Italie“, quasi un Leitmotiv dell’opera, sembrava scandire la partita Italia-Germania.

Visto a London, Royal Opera House Covent Garden, 28/06/2012

Ilaria Bellini